Si tratta di una villa assai poco conosciuta, almeno per quanto riguarda i non residenti nella zona, ma non priva d’importanza storica e di bellezza, nonostante le vicissitudini secolari. Nell’area dell’attuale Villa Paganini c’era in origine una vigna, acquistata nel 1585 dal cardinale Mariano Pierbenedetti da Camerino, che la fece trasformare in una tipica residenza nobiliare. Dobbiamo notare che di quel periodo è rimasta purtroppo una sola cosa: una fontana in marmo ubicata tra Via Nomentana e Vicolo della Fontana. Nel 1722 la villa venne acquistata dal cardinale Giulio Alberoni. Della risistemazione dell’Alberoni rimangono il Casino Nobile, inglobato in una struttura scolastica, e una fontana a parete ubicata nei pressi. La villa ebbe, poi, altri proprietari, che la trasformarono secondo il gusto romantico, creando tracciati irregolari e un laghetto rustico artificiale che riceve acqua da una suggestiva grotta-ninfeo ed è attraversato da un romantico ponticello. Nel 1890 fu acquistata dal senatore Paganini, ma ormai della villa era rimasto ben poco, soprattutto a causa dell’invadente espansione edilizia seguita alla presa di Roma nel 1870. Nel 1934, per fortuna, tutta l’area venne acquisita dal Comune di Roma e all’architetto Raffaele De Vico fu affidata la risistemazione del parco ad uso pubblico. Fu proprio in quest’occasione che il Casino Nobile venne adibito ad uso scolastico. Nel 1938, nel lato lungo Via Nomentana, fu collocato il Monumento ai Caduti della Grande Guerra dei Quartieri Salario Trieste di Arnaldo Zocchi. Negli anni ’50 furono fatti ulteriori interventi edilizi (e speriamo proprio che siano gli ultimi!) Nel parco si trovano (o almeno si trovavano fino a qualche tempo fa) anche piante appartenenti a specie vegetali molto interessanti, tra cui una metasequoia.
L’attuale ingresso di Villa Torlonia, situato in Via Nomentana, non è quello originario, che era più avanzato. Proprio l’allargamento della strada ha comportato l’arretramento dell’ingresso e la realizzazione dei ‘propilei’ attuali, nel 1910.
L’entrata principale, stilisticamente, è molto simile al Vittoriano, che infatti venne inaugurato nello stesso periodo (per la precisione nel 1911, cinquantenario dell’Unità d’Italia). Entrambe le opere sono infatti caratterizzate da un chiaro monumentalismo classicheggiante.
Le origini della villa risalgono al ‘600, quando ovviamente l’area non era ancora urbanizzata. Nel 1673, infatti, il terreno venne acquistato da un membro di una delle più importanti famiglie di Roma, il cardinale Benedetto Pamphilij. Con lui inizia la storia di Villa Torlonia.
Circa novant’anni dopo venne acquistata da Girolamo Colonna. Infine, nel 1797, divenne proprietà della ricchissima famiglia Torlonia, di origine francese e quindi non appartenente alla nobiltà romana. Risulta chiaro che i Torlonia diedero alla villa il suo assetto completo e definitivo.
La famiglia Torlonia, grazie alla sua enorme ricchezza, riuscì comunque a conquistare un grande prestigio nell’Urbe. Anzi, possiamo dire che proprio l’acquisto e la ristrutturazione della villa ebbero una grande importanza nell’affermazione della famiglia nell’ambito dell’aristocrazia romana. Sin dall’antichità, infatti, il prestigio di una famiglia era strettamente legato al possesso di grandi aree verdi, i famosi ‘horti’, con edifici monumentali, statue, fontane eccetera.
L’edificio più importante di Villa Torlonia è senza dubbio il cosiddetto Casino Nobile, posto su una collinetta di fronte all’ingresso principale su Via Nomentana.
Poco dopo l’acquisto della villa, il banchiere Giovanni Raimondo Torlonia (Princeps Romanus dal 1814) affidò all’architetto Giuseppe Valadier il progetto della strutturazione generale della proprietà e quindi anche del Casino Nobile.
Dopo la morte del principe Giovanni Torlonia (1829), la progettazione fu affidata al novarese Caretti, cui in effetti si deve la forma definitiva dell’edificio. Stilisticamente, il Casino Nobile si presenta non soltanto tipicamente neoclassico, secondo la tendenza tipica dell’epoca, ma anche decisamente monumentale. Evidentemente, alla famiglia Torlonia serviva qualcosa che simboleggiasse in modo lampante la potenza della casata.
Osservando la facciata rivolta verso l’entrata si notano tipici elementi neoclassici, tra cui le colonne ioniche. Ma soprattutto si nota la soluzione architettonica fondamentale: un vero e proprio tempio pagano, con tanto di timpano e bassorilievo, posto sopra una base a bugnato liscio.
1797 Giovanni Raimondo Torlonia acquista la Villa dai Colonna; nei primi anni dell’Ottocento Giuseppe Valadier inizia la trasformazione- 1829 m. G. Torlonia; il figlio Alessandro Raffaele Torlonia (1800-1886), noto più tardi anche come Principe di Fucino per il prosciugamento dell’omonimo lago in Abruzzo, gli subentra nella gestione della Villa; 1832 A. Torlonia affida all’architetto novarese G. B. Caretti una serie di lavori, tra cui i “falsi ruderi di Ninfeo”, iniziati dai Colonna con materiali della Villa di Domiziano di Castel Gandolfo nel 1762 e non completati; fra il 1832 eil 1842 Caretti modifica il palazzo principale realizzato dal Valadier, noto come Casino Nobile: all’esterno vengono aggiunti i portici laterali e il pronao di tipo palladiano Il frontone in terracotta, raffigurante il Trionfo di Bacco, è di un allievo del Canova, Rinaldo Rinaldi. 1835-1840 Caretti ristruttura il seicentesco Casino dei Principi in stile neorinascimentale 1836-1838 Tempio di Saturno di Caretti (modello: il Tempio di Esculapio di Asprucci a Villa Borghese); il frontone in terracotta è opera di Vincenzo Gajassi: al centro Saturno dio del Tempo che regge la falce. 1840 Matrimonio A. Torlonia con Teresa Colonna. 1840 Giuseppe Jappelli: Capanna Svizzera, inizio della Serra Moresca. 1841-1873 Quintiliano Raimondi: Teatro all’italiana a ferro di cavallo con elementi francesi 1873 dalla figlia di Alessandro nasce Giovanni junior. 1905-1911 Gennari realizza i Propilei del nuovo ingresso su Via Nomentana, reso necessario in seguito all’allargameneto della strada. 1908-1917 Su commissione di Giovanni Torlonia junior, appassionato di esoterismo, un po’ misantropo e sicuramente molto eccentrico, Enrico Gennari e V. Fasolo trasformano la Capanna Svizzera di Jappelli in una casa fiabesca, che poi viene soprannominata Casina delle Civette.
1914 la vetrata con le due civette di Cambellotti. 1944-1947 occupazione da parte delle truppe alleate: inizia il grave degrado della villa. 1992-1997 dopo vandalismi e un incendio viene restaurata la Casina delle Civette.
Negli anni successivi ci sono stati altri importanti restauri….
Arredi vari: Tribuna con fontana di Caretti. Collina artificiale di Jappelli. Campo da tornei di Jappelli. Obelischi in granito rosa di Baveno con basi di travertino e marmo; incredibile il trasporto lungo il Po, il mare (Adriatico e Tirreno) e il Tevere! Colonne onorarie (dedicate a Carlo Torlonia e ai genitori di Carlo). Edicola Mariana su una scogliera dedicata a Carlo da Aessandro con stemmi Colonna e Torlonia. Laghetto artificiale detto “Fucino” per commerorare il prosciugamento del bacino del Fucino in Abruzzo. Limonaia o Aranciera su progetto di Jappelli, ma realizzata da Raimondi. 1906-1907 Villino medioevale di Gennari- Sulla facciata di via Spallanzani è posto un orologio decorato con i segni zodiacali. Villino Rosso: Giovanni Torlonia junior lo commissiona all’arch. P. Gianoli come abitazione dell’amministratore (1920-1922)
La chiesa dedicata alla Vergine e Martire Agnese è una delle più belle, originali e famose chiese di Roma.
Si trova al centro del lato occidentale di Piazza Navona, di fronte all’altrettanto famosa Fontana dei 4 Fiumi, nel luogo in cui, secondo la tradizione, la giovanissima Agnese subì il martirio, in un lupanare che si trovava all’interno dello stadio di Domiziano. La Santa era stata portata lì perché si era rifiutata di sacrificare agli idoli pagani e per essere esposta nuda ai desideri libidinosi dei suoi persecutori, ma la crescita miracolosa dei capelli preservò la sua purezza. Posta sul rogo, le fiamme si spensero per le sue preghiere. Alla fine fu uccisa con un colpo di spada alla gola. Dopo il martirio il corpo di Agnese venne portato al cimitero sulla via Nomentana, dove ancora riposa e dove sorge un’altra chiesa dedicata alla Santa, risalente al VII secolo. Però la testa di Agnese è conservata qui dal tempo di papa Leone XIII.
Non è del tutto chiaro l’anno del martirio, ma dovrebbe essere il 304 e quindi coincidere con la persecuzione di Diocleziano.
Sin dall’Alto Medioevo esisteva in questo posto un luogo di culto, trasformato in vera e propria chiesa da papa Callisto II nel 1123, ma la chiesa attuale risale alla metà del XVII secolo e fu costruita su commissione di papa Innocenzo X Pamphili, che la concepì essenzialmente come cappella di famiglia. Tutta o quasi l’area apparteneva allora ai Pamphili. Accanto alla chiesa si trova infatti il grande palazzo di famiglia, ora occupato dell’Ambasciata del Brasile, opera di Girolamo Rainaldi. All’interno della chiesa si trova il monumento funebre del papa (1730), la cui tomba sta in una cripta a sinistra dell’altare.
Il primo progetto si deve a Girolamo Rainaldi, ma l’intervento più rilevante fu quello di Francesco Borromini, cui si devono la facciata concava e la sagrestia. Successivamente, la costruzione venne completata da Carlo Rainaldi (figlio di Girolamo) nel 1672.
La facciata concava, fantastica creazione del Borromini ideata per far risaltare maggiormente la cupola, è compresa fra due grandi corpi laterali sporgenti che sorreggono i campanili gemelli.
La cupola fu realizzata dal Baratta (tamburo) e da Carlo Rainaldi (lanterna) e fu dipinta all’interno da Ciro Ferri e dal Baciccia.
Diversamente dal tipico modello longitudinale della Controriforma, la chiesa ha una pianta a croce greca con bracci piuttosto corti ed ottagono centrale. Rientra quindi perfettamente nella grande innovazione dell’architettura sacra operata soprattutto dal Bernini e dal Borromini nel ‘600.
Gli altari sono sette, tutti decorati con pale marmoree e statue:
sul lato destro troviamo S. Alessio, S. Agnese sul rogo (Ercole Ferrata) e S. Emerenziana lapidata;
sul lato sinistro S. Eustachio tra le belve (Caffà e Ferrata), S. Sebastiano (che in realtà è una statua antica modificata) e S. Cecilia.
Nell’altare maggiore vediamo un’originale e molto elaborata Sacra Famiglia.
Il sotterraneo corrisponde esattamente al luogo in cui la Santa venne esposta. Sull’altare troviamo un bassorilievo dell’Algardi raffigurante il miracolo dei capelli.
Nel suo insieme, Sant’Agnese in Agone deve essere considerata come uno dei capolavori assoluti del Barocco e nello stesso tempo come una testimonianza fondamentale di un’epoca straordinaria della storia di Roma.
A Roma c’è un monumento assai poco conosciuto (e non è certo l’unico caso!), totalmente al di fuori dei percorsi turistici ordinari. Molti ci passano senza neppure sapere che è un vero monumento storico importantissimo. Risale all’età repubblicana di Roma (II-I secolo a. C.).
Attualmente è riservato (per fortuna) ai pedoni.
Quindi dobbiamo conoscerlo, difenderlo e valorizzarlo.
Innanzitutto è un ponte sull’Aniene e non sul Tevere. E questa è una cosa da non sottovalutare. Infatti, quando si pensa a Roma si pensa sempre al Tevere, ma anche l’Aniene è importante per l’Urbe.
Si tratta di uno degli antichi ponti extraurbani di Roma. Da più di 2000 anni permette all’antica Via Nomentana di passare il fiume.
La sua struttura originaria era ed in parte rimane a blocchi di tufo con archivolti in travertino. Da notare che vi erano due arcate, delle quali oggi rimane solo quella verso Monte Sacro.
Ovviamente ha subìto varie distruzioni e radicali ristrutturazioni nel corso dei secoli.
Nel secolo VIII papa Adriano I (772-795) lo fortificò con la costruzione di due torri ancora esistenti anche se molto rimaneggiate nel corso dei secoli. Successivamente vennero aggiunti i muri laterali, rialzati da papa Niccolò V (1447-1455), il cui stemma, non molto grande, campeggia fissato alla torre rivolta verso la città. Si può dire che questo papa ha dato al ponte il suo assetto definitivo, merlatura compresa.
Ovviamente la sua storia è travagliata come quella di Roma. Subì infatti diversi passaggi di proprietà. Appartenne ad enti religiosi e fu oggetto di contesa fra le grandi famiglie romane.
Anche se oggi ha un’importanza molto limitata come via di passaggio, nel passato per la sua posizione strategica divenne anche posto di dogana nella prima metà del Cinquecento.
Nel 1849 fu parzialmente distrutto dalle truppe francesi che combattevano contro l’indomita Repubblica Romana e pochi anni dopo restaurato.
La sua struttura essenziale attuale consiste in due torri con merlatura di tipo ghibellino ai due capi, muri laterali ed arcata a tutto sesto sotto la quale scorre il fiume.
Bisogna dire che da quest’antico ponte ancora immerso nella natura si può godere di un panorama stupendo che ci affascina riportandoci ai secoli passati. Quindi è anche molto adatto per passeggiate romantiche…
Andiamo a vederlo. Ne vale veramente la pena. Si trova non lontano da Piazza Sempione nel quartiere Monte Sacro, poco più a monte del moderno Ponte Tazio.
Lo stemma di Papa Nicolò V, interpretato dal popolino come “Nessun papa volemo!”
(Foto di Pietro Massolo)
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