L’Isola di Pasqua (nella lingua indigena Rapa Nui= Grande Isola o Roccia) è un’isola vulcanica che si trova nell’Oceano Pacifico, 27 gradi sotto l’Equatore (quindi nella fascia climatica sub-tropicale), a 3601 chilometri di istanza dal Cile, al quale appartiene.Ha una lunghezza massima di 24 chilometri e una larghezza massima di 13.
INTERPRETAZIONE POETICA DI MARCO DI CAPRIO:
IL TESORO E IL MISTERO [Lirica tratta dal romanzo Il Mistero dell’Isola di Pasqua. Gli archeologi hanno trovato un’iscrizione misteriosa che potrebbe condurli a scoprire il Mistero dell’Isola di Pasqua] Caro amico il tesoro d’Hotu Matua è reliquia davvero importante, però non brilla nella notte fatua. E’ brillante proprio come un diamante, ma alla fin’è un oggetto terreno; è divino solo da luccicante. Il mistero sì che di luce è pieno, ed è stato Dio Onnipotente, per un grande monito ultraterreno, a mandarlo con soffio süadente. Quegli stronzi ricchezze mai vedute vogliono togliermi con un fendente, ma io son furbo e, alla salute di ‘sti scemi, ho nascosto il mistero, baciato da magie sconosciute, della verace luce messaggero. Se il mio parlàr coperto intendi, di Dio amante sei col pensiero, e il chiarore del mistero attendi. Abbraccia il forziere soavemente, poi con mano suadente scendi e laggiù, sul fondo, lïevemente e quïescente una dolce voce finalmente sentirai, impaziente. La mi’ dolce voce freme veloce nell’attesa di veder’i tuoi occhi, e canta e fischïa non sottovoce, e or’implora e risuona in rintocchi, nel tuo sguardo di fine amante, affinché di vera gioia strabocchi. Io amo solo te che sei sognante d’ascoltàr la mi’ alma musicale e della verace armonia il sembiante. Marco Di Caprio
“Atlantide (greco antico: Ἀτλαντὶς νῆσος, “isola di Atlante”) è un’isola immaginaria menzionata in un’allegoria sull’arroganza delle nazioni nelle opere di Platone Timeo e Crizia, [1] dove rappresenta la potenza navale antagonista che assedia “l’antica Atene” , l’incarnazione pseudo-storica dello stato ideale di Platone nella Repubblica. Nella storia, Atene respinge l’attacco di Atlantide a differenza di qualsiasi altra nazione del mondo conosciuto, [2] presumibilmente testimoniando la superiorità del concetto di stato di Platone. [3] [4] La storia si conclude con Atlantide che perde il favore delle divinità e si immerge nell’Oceano Atlantico. Nonostante la sua minore importanza nell’opera di Platone, la storia di Atlantide ha avuto un impatto considerevole sulla letteratura. L’aspetto allegorico di Atlantide è stato ripreso in opere utopiche di diversi scrittori rinascimentali, come New Atlantis di Francis Bacon e Utopia di Thomas More. [5] [6] D’altra parte, gli studiosi dilettanti del diciannovesimo secolo hanno interpretato erroneamente la narrativa di Platone come tradizione storica, il più famoso Ignatius L. Donnelly nel suo Atlantis: The Antediluvian World. Le vaghe indicazioni di Platone sul tempo degli eventi – più di 9.000 anni prima del suo tempo [7] – e la presunta posizione di Atlantide – “oltre le colonne d’Ercole” – hanno portato a molte speculazioni pseudoscientifiche. [8] Di conseguenza, Atlantide è diventata sinonimo di tutte le presunte civiltà perdute preistoriche avanzate e continua a ispirare la narrativa contemporanea, dai fumetti ai film. Mentre i filologi e i classicisti odierni concordano sul carattere di fantasia della storia, [9] [10] c’è ancora un dibattito su ciò che è servito da ispirazione. Come per esempio con la storia di Gige, [11] Platone è noto per aver preso liberamente in prestito alcune delle sue allegorie e metafore da tradizioni più antiche. Ciò ha portato un certo numero di studiosi a indagare sulla possibile ispirazione di Atlantide dai documenti egiziani dell’eruzione di Thera, [12] [13] l’invasione dei popoli del mare [14] o la guerra di Troia. [15] Altri hanno rifiutato questa catena di tradizione come inverosimile e insistono sul fatto che Platone ha creato un racconto interamente fittizio, [16] [17] [18] traendo liberamente ispirazione da eventi contemporanei come la fallita invasione ateniese della Sicilia nel 415-413 aC o la distruzione di Helike nel 373 aC. [19].” https://en.wikipedia.org/wiki/Atlantis “Atlantide (antico greco Ἀτλαντὶς νῆσος Atlantìs nḗsos ‘Isola di Atlante’) è un mitico regno lacui vicenda viene narrata dal filosofo greco Platone (vissuto dal 428/427 al 348/347 a.C.). Secondo Platone, era una potenza navale che, a partire dalla sua isola principale, “oltre le colonne di Eracle”, soggiogò gran parte dell’Europa e dell’Africa. Dopo un attacco fallito ad Atene, Atlantide si inabissò intorno al 9600 a.C. Come risultato di un disastro provocato dall’ira divina in “un solo giorno e una sfortunata notte”. Atlantide è una storia incorporata nell’opera di Platone, che – come gli altri miti di Platone – ha lo scopo di illustrare una teoria precedentemente espressa. Lo sfondo di questa storia è controverso. Mentre storici e filologi antichi presumono quasi senza eccezioni un’invenzione di Platone ispirata a modelli contemporanei, alcuni autori sospettano un reale retroterra storico e hanno fatto innumerevoli tentativi di localizzare Atlantide (vedere l’articolo Ipotesi di localizzazione su Atlantide). Una possibile esistenza di Atlantide era già stata discussa in tempi antichi. Mentre autori come Plinio negavano che il regno dell’isola in questione fosse esistito, altri consideravano la sua esistenza concepibile. Anche le prime parodie dell’argomento hanno avuto origine nell’antichità. Nel Medioevo latino, il mito di Atlantide fu più o meno dimenticato fino a quando non fu finalmente riscoperto e diffuso durante il Rinascimento, quando gli studiosi in Europa comprendevano di nuovo il greco. Le descrizioni di Platone hanno ispirato le opere utopiche di vari autori della prima età moderna, come Nova Atlantis di Francis Bacon. Fino ad oggi, il motivo letterario del mito di Atlantide è elaborato in letteratura e film (vedi l’articolo Atlantide come soggetto).” https://de.wikipedia.org/wiki/Atlantis
SINTESI DEI PUNTI PRINCIPALI: ATLANTIDE è un’isola immensa, sede di una grande potenza marinara (come Atene); ne parla per primo, a quanto pare, Platone (nei dialoghi Timeo e Crizia); non esiste più perché si è inabissata per volontà del dio Poseidone a causa della sua empia arroganza; la sua posizione è da collocare oltre le colonne d’Ercole, il che dovrebbe escludere le localizzazioni mediterranee; la vicenda raccontata da Platone si svolge all’incirca 9600 anni prima di Cristo; il nome deriva da Atlante, figlio di Poseidone, primo re dell’isola; la narrazione di Platone viene generalmente considerata come un “mito filosofico”funzionale alle tesi politiche del filosofo; si discute molto sulla possibilità che Platone abbia tratto ispirazione da eventi realmente accaduti.
Ci sono almeno due aspetti molto singolari nella tradizione relativa alle vicende della monarchia romana. Il primo riguarda il fatto che in 5 casi su sette, che diventano 6 su 8 con Tito Tazio (il quale condivise il regno con Romolo), il re viene ucciso o muore in circostanze misteriose. Inoltre, nessun re è figlio del predecessore. Su questa forma di successione violenta, simile a quella del “Rex Nemorensis”, James Frazer nella famosa opera Il ramo d’oro ha elaborato una teoria della regalità sacra di cui mi dovrò occupare presto. Sappiamo da fonti storiche che il Rex Nemorensis, cioè il Re di Nemi, dove esisteva un importante santuario dedicato a Diana, era uno schiavo fuggitivo che aveva conquistato il potere uccidendo il suo predecessore. L’altro elemento singolare della monarchia romana riguarda una forma di successione che possiamo definire di tipo matrilineare e che potrebbe essere un residuo, una traccia di una forma di matriarcato. Devo subito fare due premesse importanti: 1) il dibattito sul presunto matriarcato come forma originaria di organizzazione della società è ancora aperto perché si tratta di un argomento molto complesso, certamente non privo di connotati politico-ideologici. Per questo rimando alla lettura della corrispondente voce della Treccani online, scritta dalla studiosa Eva Cantarella: http://www.treccani.it/enciclopedia/matriarcato_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/; 2) l’antropologia culturale e l’etnologia ci dicono che il matriarcato e il lignaggio matrilineare sono due cose da tenere distinte, anche se laddove prevale il “matrilignaggio” la posizione sociale della donna appare comunque più autonoma e consistente rispetto ai sistemi patrilineari. In ogni caso, allo stato attuale sia la documentazione storica che quella etnologica non ci forniscono prove certe di organizzazioni sociali di tipo matriarcale. Il matriarcato originario di cui parlava Bachofen nell’Ottocento rimane tuttora un’ipotesi, anche se in anni recenti la studiosa lituana Marija Gimbutas ha riscontrato tracce consistenti di una cultura neolitica (a quanto pare “pacifica”) diffusa in Europa basata sul predominio delle donne. Lo studioso britannico Robert Graves ha interpretato gran parte della tradizione mitologica greca come una traccia di una forma di matriarcato, o per meglio dire come il riflesso del passaggio dal matriarcato al patriarcato. L’esempio più chiaro è ovviamente il mito delle Amazzoni. Dobbiamo anche considerare un tipo di manufatto molto diffuso in età preistorica, noto come “Venere paleolitica”, che fa supporre una forma di religiosità ancestrale basata sul culto di un essere divino femminile. Le “veneri paleolitiche” hanno caratteri sessuali femminili molto pronunciati per rimarcare il potere procreativo della donna, sentito come qualcosa di soprannaturale. Ciò detto, veniamo al punto. Siamo tutti portati a credere che la più antica società romana sia un tipico esempio di patriarcato puro. Basti pensare al potere assoluto del “pater familias”, al quale veniva attribuito, ameno in teoria, il potere di vita e di morte sui membri del gruppo familiare: “jus vitae ac necis”. Nel diritto romano la posizione della donna è nettamente inferiore a quella dell’uomo: la sua incapacità giuridica nel campo del diritto pubblico è totale ed anche nel diritto privato è limitata, come dimostra ad esempio il fatto che non può esercitare la potestas sui figli neppure in mancanza del padre (C. Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, ed. Libreria Editrice Torres, p. 52). Però risulta evidentissimo che il potere regale a Roma non viene trasmesso per via paterna: “Not one Roman king came to power as the son of his predecessor and none of them was known as the father who had a son as successor. The daughter’s son was more important as the future successor than the son’s. It is not possible to date the change from one system in which the daughter’s descent was more important than that of the son to the patriarchal one in which the father – son relation appears as crucial in the heritage…There are grounds to suppose that Latin and Roman society was originaly matrilineal: Silvii go back to Lavinia and her son and at the beginning of the Roman state we find Rea Silvia and her sons.” (Miroslava Mirković, Rea Silvia and Seven Roman Kings: Kinship and Power in Early Rome, Belgrade 2014).
Romolo è figlio di Marte e della Vestale Rea Silvia, figlia di Numitore, Re di Alba Longa e discendente di Enea, il che significa, in pratica (dato che mater semper certa est!), che la sua legittimazione politico-sacrale deriva da una sacerdotessa, che si può far rientrare nell’archetipo della sacerdotessa-regina del matriarcato. Numa Pompilio era marito della figlia di Tito Tazio, il re sabino che per un certo periodo regnò insieme a Romolo; Tullo Ostilio era nipote della moglie di Romolo; Anco Marzio o Marcio era nipote di Numa Pompilio in linea femminile (“Post hunc Ancus Marcius, Numae ex filia nepos”, Eutropio Breviarium ab Urbe condita, I, 5); Tarquinio Prisco, il primo dei re etruschi, era figlio di Demarato di Corinto, il quale era emigrato in Etruria e aveva sposato una donna etrusca. Diventa re soprattutto grazie alle capacità magico-divinatorie della moglie Tanaquilla; Servio Tullio è il marito della figlia di Tanaquilla e di Tarquinio Prisco; Tarquinio il Superbo è il figlio di Tarquinio Prisco, ma è anche il marito della figlia maggiore di Servio Tullio (e uccide il suocero con la complicità della seconda moglie, la figlia minore di Servio…). In conclusione, si può dire che in tutta questa complicata vicenda risulta evidentissima un’impronta di tipo matriarcale ed anche un residuo di una concezione della regalità sacra molto vicina a quella del Rex Nemorensis, per la quale è necessaria una trattazione specifica. Per approfondire: Miroslava Mirković, Rea Silvia and Seven Roman Kings: Kinship and Power in Early Rome, Belgrade 2014 Questo saggio molto interessante si può trovare qui:
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