10 giugno 1924: un gruppo di ‘squadristi’, capeggiato da Amerigo Dumini, rapisce ed uccide il deputato socialista Giacomo Matteotti, il quale aveva denunciato i brogli e le violenze da parte fascista durante le ultime elezioni politiche.
L’episodio è ben noto. Un passaggio cruciale nella Storia d’Italia. L’assassinio di Matteotti è il momento decisivo della fine del regime parlamentare e della democrazia liberale. Uccidere Matteotti significa uccidere l’opposizione libera e il libero confronto democratico. E questo è il punto essenziale del problema.
Ma non basta. C’è dell’altro.
Col passare del tempo, molti retroscena sono emersi.
Non si è mai capito bene se Mussolini sia stato il vero mandante dell’omicidio, ma un fatto è certo al di là di ogni ragionevole dubbio: il Duce aveva non pochi motivi per temere Matteotti.
Non solo perché il deputato socialista era il più strenuo difensore del regime parlamentare.
Matteotti aveva in mano documenti molto conpromettenti per il Governo Mussolini e per il Partito Nazionale Fascista.
Questi documenti furono fatti sparire dagli assassini, ma pian piano è stato ricostruito il malaffare che stava dietro il delitto: tangenti per concessioni petrolifere e truffa ai danni dello Stato sulla vendita dei residuati bellici. Lo stesso Dumini si era arricchito acquistando ad un prezzo ridicolo un’enorme quantità di fucili che aveva poi rivenduto alla Jugoslavia.
Si legga ‘Il delitto Matteotti’ di Mauro Canali (Il Mulino 1997).
Tutto questo malaffare rischiava di far saltare il sistema di potere mussoliniano in un momento critico. Infatti l’Italia non era ancora una dittatura. Ma proprio quell’infame delitto determinò la svolta decisiva in tal senso.