Che cos’è il “greco biblico”? La lingua del Nuovo Testamento, certo, ma anche la lingua greca usata dal III secolo a. C. per tradurre l’Antico Testamento. L’importanza di questa traduzione, detta la “Settanta” perché secondo la tradizione fu fatta da 70 (anzi per la precisione da 72, 6 per ciascuna delle 12 tribù d’Israele) traduttori ebrei ad Alessandria d’Egitto, è enorme, ma non si può dire che sia molto conosciuta e soprattutto adeguatamente apprezzata. In sostanza, contrariamente a quello che si crede comunemente, la lingua del Nuovo Testamento non è tanto la lingua parlata nel mondo greco-romano nel I secolo dell’era volgare, quanto piuttosto proprio la lingua della “Settanta”! Gli studi approfonditi degli specialisti lo hanno dimostrato in modo a mio parere sempre più netto e chiaro. Per convincersi di questo fatto, estremamente significativo, basterebbe notare che la stragrande maggioranza delle citazioni dell’Antico Testamento presenti nelle Sacre Scritture cristiane sono tratte proprio dalla Settanta. Ovviamente, la Settanta costituiva per gli Autori del Nuovo Testamento un modello non soltanto in senso linguistico, ma anche in un senso molto più profondo. Secondo il mio modesto parere, il “paradigma” cristiano ha cominciato a formarsi ad Alessandria d’Egitto, nel contesto della grande civiltà ellenistica, dall’incontro tra la cultura ebraica e quella greca.
Risulta evidente che la definizione culturale del rapporto corpo-anima è strettamente collegata sia alla storia delle religioni, sia alla medicina psicosomatica.
L’influenza della cultura greca, a mio modesto avviso, è ravvisabile già nella traduzione in greco delle Sacre Scritture ebraiche denominata “Settanta”, iniziata secondo la tradizione nel III secolo a. C. ad Alessandria d’Egitto.
Mi riferisco in particolare al famoso e dibattuto passo di Isaia 7:14, che nella Settanta è tradotto nel seguente modo:
“δια τούτο δώσει Κύριος αυτός υμίν σημείον· ιδού η παρθένος εν γαστρί έξει, και τέξεται υιόν, και καλέσεις το όνομα αυτού Εμμανουήλ”.
http://oodegr.com/oode/profities/xristos/parthenos1.htm
È noto che questa traduzione per gli studiosi ebrei è una forzatura. La parola greca παρθένος, che significa vergine, non coincide infatti con la parola ebraica [‘almah’] (= giovane donna) presente nel testo di Isaia. La parola corrispondente a vergine è, invece, o dovrebbe essere, [“betulah”]. Ovviamente, nel NT ritorna la parola παρθένος in riferimento alla profezia di Isaia (Matteo, 1:23).
Non ho alcuna pretesa di aggiungere o togliere nulla alle opinioni degli autorevoli studiosi che si sono occupati di questo tema spinoso, anche perché purtroppo non ho una conoscenza sufficiente della lingua ebraica.
Comunque, secondo me risulta evidente che proprio questo passo molto controverso dimostra la distanza tra la cultura ebraica e quella greca sul tema del rapporto tra corpo e anima e sul conseguente valore della verginità.
Moltissimi sono i siti che trattano l’argomento della Settanta o Septuaginta e del greco biblico. Posso citare, se non altro per un primo inquadramento:
https://www.britannica.com/topic/Septuagint
http://it.cathopedia.org/wiki/Greco_biblico
http://bbba.altervista.org/drupal/?q=book/export/html/83
http://www.theopedia.com/septuagint
http://www.theopedia.com/new-testament-use-of-the-old-testament
http://www.newadvent.org/cathen/13722a.htm
Ma lo studio disponibile on-line più interessante secondo me è questo:
Molto utile, per un confronto preciso e sintetico tra l’Ebraismo e il Cristianesimo, è il libro:
AA. VV., “ISLAM-CRISTIANESIMO-EBRAISMO a confronto”, edizioni PIEMME