TRACCE DI MATRIARCATO NELLA SUCCESSIONE DEI RE DI ROMA?

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Sarcofago di Marte e Rea Silvia
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera. https://it.wikipedia.org/wiki/Sarcofago_di_Marte_e_Rea_Silvia

Ci sono almeno due aspetti molto singolari nella tradizione relativa alle vicende della monarchia romana. Il primo riguarda il fatto che in 5 casi su sette, che diventano 6 su 8 con Tito Tazio (il quale condivise il regno con Romolo), il re viene ucciso o muore in circostanze misteriose. Inoltre, nessun re è figlio del predecessore. Su questa forma di successione violenta, simile a quella del “Rex Nemorensis”, James Frazer nella famosa opera Il ramo d’oro ha elaborato una teoria della regalità sacra di cui mi dovrò occupare presto. Sappiamo da fonti storiche che il Rex Nemorensis, cioè il Re di Nemi, dove esisteva un importante santuario dedicato a Diana, era uno schiavo fuggitivo che aveva conquistato il potere uccidendo il suo predecessore.
L’altro elemento singolare della monarchia romana riguarda una forma di successione che possiamo definire di tipo matrilineare e che potrebbe essere un residuo, una traccia di una forma di matriarcato.
Devo subito fare due premesse importanti:
1) il dibattito sul presunto matriarcato come forma originaria di organizzazione della società è ancora aperto perché si tratta di un argomento molto complesso, certamente non privo di connotati politico-ideologici. Per questo rimando alla lettura della corrispondente voce della Treccani online, scritta dalla studiosa Eva Cantarella: http://www.treccani.it/enciclopedia/matriarcato_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/;
2) l’antropologia culturale e l’etnologia ci dicono che il matriarcato e il lignaggio matrilineare sono due cose da tenere distinte, anche se laddove prevale il “matrilignaggio” la posizione sociale della donna appare comunque più autonoma e consistente rispetto ai sistemi patrilineari.
In ogni caso, allo stato attuale sia la documentazione storica che quella etnologica non ci forniscono prove certe di organizzazioni sociali di tipo matriarcale. Il matriarcato originario di cui parlava Bachofen nell’Ottocento rimane tuttora un’ipotesi, anche se in anni recenti la studiosa lituana Marija Gimbutas ha riscontrato tracce consistenti di una cultura neolitica (a quanto pare “pacifica”) diffusa in Europa basata sul predominio delle donne.
Lo studioso britannico Robert Graves ha interpretato gran parte della tradizione mitologica greca come una traccia di una forma di matriarcato, o per meglio dire come il riflesso del passaggio dal matriarcato al patriarcato. L’esempio più chiaro è ovviamente il mito delle Amazzoni.
Dobbiamo anche considerare un tipo di manufatto molto diffuso in età preistorica, noto come “Venere paleolitica”, che fa supporre una forma di religiosità ancestrale basata sul culto di un essere divino femminile. Le “veneri paleolitiche” hanno caratteri sessuali femminili molto pronunciati per rimarcare il potere procreativo della donna, sentito come qualcosa di soprannaturale.
Ciò detto, veniamo al punto.
Siamo tutti portati a credere che la più antica società romana sia un tipico esempio di patriarcato puro. Basti pensare al potere assoluto del “pater familias”, al quale veniva attribuito, ameno in teoria, il potere di vita e di morte sui membri del gruppo familiare: “jus vitae ac necis”. Nel diritto romano la posizione della donna è nettamente inferiore a quella dell’uomo: la sua incapacità giuridica nel campo del diritto pubblico è totale ed anche nel diritto privato è limitata, come dimostra ad esempio il fatto che non può esercitare la potestas sui figli neppure in mancanza del padre (C. Sanfilippo, Istituzioni di diritto romano, ed. Libreria Editrice Torres, p. 52).
Però risulta evidentissimo che il potere regale a Roma non viene trasmesso per via paterna: “Not one Roman king came to power as the son of his predecessor and none of them was known as the father who had a son as successor. The daughter’s son was more important as the future successor than the son’s. It is not possible to date the change from one system in which the daughter’s descent was more important than that of the son to the patriarchal one in which the father – son relation appears as crucial in the heritage…There are grounds to suppose that Latin and Roman society was originaly matrilineal:
Silvii go back to Lavinia and her son and at the beginning
of the Roman state we find Rea Silvia and her sons.”
(Miroslava Mirković, Rea Silvia and Seven Roman Kings: Kinship and Power in Early Rome, Belgrade 2014).

Romolo è figlio di Marte e della Vestale Rea Silvia, figlia di Numitore, Re di Alba Longa e discendente di Enea, il che significa, in pratica (dato che mater semper certa est!), che la sua legittimazione politico-sacrale deriva da una sacerdotessa, che si può far rientrare nell’archetipo della sacerdotessa-regina del matriarcato.
Numa Pompilio era marito della figlia di Tito Tazio, il re sabino che per un certo periodo regnò insieme a Romolo; Tullo Ostilio era nipote della moglie di Romolo; Anco Marzio o Marcio era nipote di Numa Pompilio in linea femminile (“Post hunc Ancus Marcius, Numae ex filia nepos”, Eutropio Breviarium ab Urbe condita, I, 5)
; Tarquinio Prisco, il primo dei re etruschi, era figlio di Demarato di Corinto, il quale era emigrato in Etruria e aveva sposato una donna etrusca. Diventa re soprattutto grazie alle capacità magico-divinatorie della moglie Tanaquilla; Servio Tullio è il marito della figlia di Tanaquilla e di Tarquinio Prisco; Tarquinio il Superbo è il figlio di Tarquinio Prisco, ma è anche il marito della figlia maggiore di Servio Tullio (e uccide il suocero con la complicità della seconda moglie, la figlia minore di Servio…).
In conclusione, si può dire che in tutta questa complicata vicenda risulta evidentissima un’impronta di tipo matriarcale ed anche un residuo di una concezione della regalità sacra molto vicina a quella del Rex Nemorensis, per la quale è necessaria una trattazione specifica.
Per approfondire:
Miroslava Mirković, Rea Silvia and Seven Roman Kings: Kinship and Power in Early Rome, Belgrade 2014
Questo saggio molto interessante si può trovare qui:

https://www.academia.edu/28532587/Rea_Silvia_and_Seven_Roman_Kings_Kinship_and_Power_in_Early_Rome_Belgrade_2014

PIAZZA MANFREDO FANTI-MURA SERVIANE E ACQUARIO ROMANO

Si tratta di un luogo davvero fantastico, a poca distanza dalla Stazione Termini (anch’essa ricca di sorprese)! All’interno di un giardino tenuto molto bene possiamo trovare una miscela benefica di architettura umbertina, archeologia, pace e relax.

MURA SERVIANE

A parte la cosiddetta “Roma quadrata” di Romolo, la cinta muraria più antica di Roma, costruita in blocchi dI tufo “cappellaccio”, risale al VI secolo a. C. e trae il nome dal suo costruttore, Servio Tullio, sesto e penultimo Re di Roma. Tuttavia, la stragrande maggioranza dei resti delle “Mura Serviane” risale alla prima metà del IV a. C. ed utilizza il tufo di Grotta Oscura, ottenuto dopo la sconfitta di Veio e la conquista del suo territorio. In Piazza Manfredo Fanti possiamo vedere alcune parti del cosiddetto “Aggere Tulliano”, il tratto più fortificato, lungo 1300 metri, che proteggeva, non a caso, il lato più debole perché interamente pianeggiante della città. La struttura dell’Aggere era piuttosto complessa: davanti al muro c’era un fossato largo circa 36 metri e profondo 17. Dopo il muro alto circa 10 metri, del quale si può vedere un pezzo a sinistra del prospetto della Stazione, era stato innalzato un terrapieno, sostenuto da un muro di “controscarpa” (un pezzo è visibile nel sotterraneo della Stazione, all’interno dell’area del fast-food; sulle “sorprese” della Stazione Termini: https://www.youtube.com/watch?v=nwcdwPatyVI&t=11s ). Il tratto visibile in Piazza Fanti è fatto in tufo di Grotta Oscura ed è lungo 23 metri. Ad esso si addossano muri in opus reticulatum pertinenti ad una costruzione del I secolo a.C., un periodo nel quale ovviamente le Mura Serviane non avevano più alcuna funzione difensiva.

ACQUARIO ROMANO

All’ittiologo comasco Pietro Garganico, giunto nella nuova Capitale negli anni ’80 dell’Ottocento, si deve l’idea di costruire a Roma un acquario scientifico con annesso uno stabilimento di piscicultura.
La sua idea coincideva con gli indirizzi di Quintino Sella, il quale voleva caratterizzare Roma anche come centro della scienza. La delibera apposita del Consiglio Comunale del 1882 concesse a Garganico un’ampia area dell’Esquilino, a poca distanza dalla Stazione Termini.

Tra il 1986 e il 1990 un intervento di restauro, condotto su progetto di V. De Feo e S. Stucchi dalla Edilizia Monumentale e dalla Sovrintendenza Comunale, ha consentito il recupero complessivo dell’architettura e delle decorazioni. Dalla sua riapertura al pubblico, nel 1993, l’Acquario Romano ha ospitato numerose manifestazioni espositive e di spettacolo.

Nel 2003 l’edificio è diventato “Casa dell’Architettura” e come tale è stato utilizzato per esposizioni e manifestazioni sui temi dell’architettura contemporanea, sotto la gestione dell’Ordine degli Architetti di Roma.

L’edificio è composto da due elementi: un corpo cilindrico a base ellittica e un avancorpo con arco a nicchione a cui si accede mediante due rampe di scale. Molto bella la decorazone della facciata. Leggiamo la descrizione contenuta nel sito ufficiale: “Ai lati del nicchione ci sono due edicole ornate con sculture in stucco trattato a finto bronzo raffiguranti  La Pesca a destra e La Navigazione a sinistra; le edicole sono sormontate da due tondi a rilievo, inquadrati da due cariatidi. La cornice di coronamento ha un fregio con due delfini e tridente. A coronamento dell’attico un gruppo in malta raffigurante il carro di Venere trainato da un tritone e una naiade.” ( https://acquarioromano.it/storia.html ). L’Acquario è molto bello anche all’interno. La sala centrale, molto vasta, è scandita da un doppio ordine di colonne corinzie in ghisa (rivoluzione industriale!) è riccamente decorata. Le colonne sostengono la galleria superiore e il soffitto, che fu rifatto nel 1930. Una fila di semicolonne corinzie e paraste si sviluppa lungo i muri perimetrali, nei quali erano ricavati gli spazi per le vasche, oggi murati. Molto ineressanti sono le “specchiature” che sormontano le ex-vasche, dipinte da Silvestro Silvestri (1859-dopo il 1920), che raffigurano scene acquatiche con bimbi asessuati, eroti, fauni, ninfe e baccanti. Tutta la decorazione si basa sul tema dell’acqua, compreso il mosaico pavimentale.

Sitografia:

https://acquarioromano.it/

https://www.romasegreta.it/esquilino/piazza-manfredo-fanti.html

Bibliografia:

Nicoletta Cardano, Guida all’Acquario Romano, ed. Quasar di Severino Tognon (disponibile a richiesta sul posto)

Resti di Mura Serviane

ACQUARIO ROMANO

Per vedere altre immagini dell’Acquario Romano: https://massolopedia.it/acquario-romano/

(Foto di Pietro Massolo)