S. MARIA DELL’ANIMA

L

L’origine di questa chiesa risale al XIV secolo, quando viene costituito un ospizio con oratorio per i pellegrini di nazione germanica. Ancora oggi, è la chiesa ufficiale dei cattolici di lingua tedesca di Roma. Nella sua forma attuale, la chiesa viene costruita nella prima metà del ‘500. Mariano Armellini, nella sua opera fondamentale “Le Chiese di Roma”, ci dice che il nome si deve al ritrovamento nel sito di un’antica immagine che raffigurava Maria fra due anime oranti del Purgatorio, una scena rappresentata nella scultura presente sulla facciata. Si tratta di una tipica “Hallenkirche” nordica, la cui caratteristica peculiare consiste nell’altezza delle navate laterali, uguale a quella della navata centrale. Ancora in discussione è la paternità del progetto, probabilmente dovuto a Giuliano da Sangallo. La piatta facciata è tipicamente rinascimentale e risulta notevolmente più alta del corpo della chiesa, forse per un voluto effetto scenografico. Fra le opere d’arte presenti all’interno, sono da menzionare: la pala d’altare di Giulio Romano che rappresenta una Sacra Conversazione con Santi; una Pietà scolpita da Lorenzetto molto simile, ma non uguale, a quella di Michelangelo; la Cappella del Margravio affrescata da Francesco Salviati, la cui Deposizione è un gioiello assoluto del Manierismo; il Monumento Funebre del papa olandese (e quindi “germanico” in senso lato) Adriano VI (1522-1523). Da notare che la Cappella del Margravio (o dei Margravi) di Brandeburgo fu patrocinata da Alberto di Brandeburgo, l’ambizioso cardinale tedesco al quale si deve la vendita delle indulgenze che inorridì Lutero e fu all’origine della Riforma. Alberto è rappresentato in preghiera nella Deposizione di Salviati. Il campanile, visibile solo da un vicolo laterale, mostra bifore rinascimentali e una copertura con maioliche della cuspide, secondo l’uso germanico. Gli interventi dei secoli XVIII (coro) e XIX (corpo longitudinale) hanno in parte modificato l’impronta rinascimentale degli inizi del ‘500.

SAN SALVATORE IN LAURO

https://www.instagram.com/p/CCz1gQlpUmh/
REFETTORIO DEL CONVENTO
FRANCESCO SALVIATI (1510-1563): NOZZE DI CANA (1550)
L’episodio delle Nozze di Cana in Galilea, con il primo miracolo di Gesù (la trasmutazione dell’acqua in vino) è riportato nel Vangelo di Giovanni (2, 1-11). Si tratta di un tema che si afferma nel Rinascimento soprattutto per decorare i refettori dei conventi. Si presta ad interpretazioni iconografiche molto varie e quindi permette una libera espressione del genio creativo del pittore. Nello stesso tempo, non si tratta certo di un episodio facile da rappresentare, anche per la presenza di numerosi personaggi, visto che tra l’altro Gesù si presenta al banchetto con Maria ed i discepoli.
Leggiamo il testo evangelico:
 
 “Tre giorni dopo, ci fu una festa nuziale in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù. E Gesù pure fu invitato con i suoi discepoli alle nozze. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. Gesù le disse: “Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta”. Sua madre disse ai servitori: “Fate tutto quel che vi dirà”. C’erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre misure. Gesù disse loro: “Riempite d’acqua i recipienti”. Ed essi li riempirono fino all’orlo. Poi disse loro: “Adesso attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l’acqua che era diventata vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i servitori che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: “Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora”. Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui. »
(Vangelo secondo Giovanni 2:1-11)
La rappresentazione del Salviati è solenne
e caotica nello stesso tempo.
Al centro della composizione la tavola imbandita con Cristo e Maria in posizione dominante. Sullo sfondo un paesaggio sfumato secondo le regole della ‘prospettiva aerea’ leonardesca, inquadrato da una struttura architettonica classicheggiante anche se priva di simmetria. Le pose dei personaggi sono studiate, accademiche, complesse, variegate, come nella Scuola d’Atene di Raffaello. La scena generale è in realtà formata da una serie di scene singole indipendenti. In primo piano, sulla destra, i recipienti, uno dei quali viene riempito da un servitore secondo l’ordine dato da Gesù. Il personaggio femminile sulla sinistra si atteggia in una posa che richiama nettamente un commensale disteso in un triclinio romano antico, anche se in realtà sta seduto e quindi la posizione è tutt’altro che naturale. Da notare che solo pochi personaggi hanno lo sguardo rivolto verso Gesù e Maria. Tra questi, i due seduti a tavola tengono la mano sul petto, quello a sinistra in segno di superficiale devozione, quello a destra in atteggiamento interrogativo e un poco sospettoso.
Sulla sinistra in alto si vedono tanti recipienti dalle forme molto varie ed elaborate. Una nota estetizzante di grande effetto.
Il Salviati sceglie di concentrare l’attenzione dell’osservatore sul dialogo fra Cristo e Maria, denso di significato e di evidente intimità, contrapposto al caos del banchetto.
Il braccio della Madonna è posto sopra quello del Figlio, quasi una ricerca di confidenza, ma l’atteggiamento di Gesù è più severo, sebbene non duro. Maria fa chiaramente da tramite fra il mondo terreno, con le sue esigenze materiali, ed il mondo divino. Il suo ruolo è teologicamente chiaro. Cristo accetta di dare il suo contributo alla riuscita del matrimonio, ma con un atteggiamento di lieve sufficienza, diciamo così.
 
Nell’insieme si avverte tutta la ‘maniera’ del Salviati, che in quegli anni (gli ultimi della sua vita) operava a Roma con grande successo, grazie anche allo stretto rapporto amicale e stilistico con il Vasari.
Sono convinto che in questo caso il modello principale di riferimento del pittore è stato il Raffaello delle Stanze Vaticane e non Michelangelo.
 

 

Francesco Salviati: Nozze di Cana    (Foto di Antonio Primavera)

 Per approfondire:

http://www.rosarioplatania.it/chiese/altre/lauro/affresco.htm

http://www.rosarioplatania.it/chiese/altre/lauro/refettorio.htm

 
 
(Foto di Pietro Massolo)
 

 

SAN SALVATORE IN LAURO

Le origini della chiesa, menzionata sin dal XII secolo, ma ricostruita nel Quattrocento e alla fine del Cinquecento, non sono ben note. Si affaccia sulla piazza omonima, una delle più importanti del Rione Ponte.
Il suo nome è stato messo in relazione con un boschetto di lauri che si trovava nelle vicinanze.
È la chiesa ‘nazionale’ dei marchigiani da quando nel 1669 fu acquisita dall’Arciconfraternita dei Piceni. Infatti sulla facciata si può ammirare un rilievo che rappresenta la Santa Casa di Loreto.
Nel 1591 venne distrutta da un incendio e pochi anni dopo iniziò la ricostruzione, alla quale partecipò anche l’architetto Ottaviano Mascherino, che terminò soltanto nell’Ottocento con la costruzione della facciata ‘purista’ su disegno dell’architetto Camillo Guglielmetti.
L’nterno della chiesa, ad una sola navata con cappelle laterali (nel tipico stile della Controriforma) mostra un’impronta tipicamente palladiana nei grandiosi fusti delle colonne aggettanti.
Il transetto e la cupola sono opera dall’architetto romano Ludovico Rusconi Sassi (1678-1736). L’altare maggiore fu progettato da Antonio Asprucci alla fine del Settecento.
Nelle cappelle laterali troviamo opere di pittori importanti, fra cui spicca Pietro da Cortona (Adorazione dei pastori, terza cappella a destra: di tratta di una delle primissime opere dell’artista).
All’esterno sono da notare i potenti contrafforti sul fianco destro, che ricordano le chiese (cosiddette) gotiche.
Annesso alla chiesa è un convento fatto costruire dal cardinale Latino Orsini a metà del Quattrocento. Nel refettorio del convento troviamo opere d’arte di enorme valore storico: affreschi del manierista Francesco Salviati (1550) e monumenti funebri del XV secolo realizzati da Isaia da Pisa e Giovanni Dalmata.
Da consultare anche la piccola e ben fatta guida disponibile nella chiesa.

REFETTORIO

CHIOSTRO

(Foto di Pietro Massolo)