Si trova in Via della Conciliazione n. 14, ma la sua posizione originaria non è questa. La chiesa più antica con la stessa dedicazione, menzionata già nel secolo VIII, era ubicata nei pressi di Castel Sant’Angelo, nell’area occupata dalle cosiddette “fosse di castello”. In una pianta del Bufalini del 1551 si vede bene che la chiesa originaria si trovava a sinistra della Mole Adriana guardando da sud, con la facciata rivolta verso il fiume. Questo spiega la denominazione “in Traspontina”. Fu demolita e “spostata” nell’attuale sede nel XVI secoloda papa Pio IV (1560-1565), intenzionato a portare avanti la cinta difensiva del Castello. La ricostruzione, iniziata nel 1566, fu realizzata dagli architetti Giovanni Sallustio Peruzzi e Ottaviano Mascherino. A Francesco Peparelli si deve il campanile eretto nel 1637. Da notare che le dimensioni notevolmente ridotte della cupola sono dovute all’esigenza di non ostacolare il tiro dell’artiglieria di Castel S. Angelo.
La facciata è piuttosto elevata e semplice, anche se nicchie, cornici e volute “denotano già una tendenza barocca” (Zocca, cit. in Catena, Traspontina, a p. 24). Io direi che la si può far rientrare nello stile manierista.
La pianta è quella tipica della Controriforma (il Concilio di Trento finisce infatti nel 1563): pianta a croce latina, una sola navata coperta a botte con 5 cappelle per lato.Questo modello aveva una funzione importante nel periodo in cui bisognava contrastare la Riforma protestante. La navata unica seviva ad evitare la dispersione dei fedeli, che dovevano essere concentrati verso l’altare e verso il pulpito.Il transetto è molto contratto e anche questo serve allo scopo.
All’interno sono molte le cose interessanti da vedere, come in tutte le chiese “storiche” di Roma, ma io mi limito a segnalarne quattro: il notevole Altare Maggiore disegnato da Carlo Fontana (1674), nel quale è inserita una copia di un’icona mariana italo-bizantina del XIII secolo; la prima cappella a destra dedicata a S. Barbara dalla Confraternita dei Bombardieri di Castel S. Angelo, con una bella Pala d’Altare del Cavalier d’Arpino; la prima cappella a sinistra, che ospita una Pietà in terracotta del Quattrocento; la statua della “Madonna del Carmine” nella terza cappella a destra.
Bibliografia:
Claudio Catena, Traspontina-Guida storica e artistica, ed. Carmelitane(disponibile in chiesa su richiesta);
Mariano Armellini, Le Chiese di Roma dalle loro origini fino al secolo XVI (I ed. 1887), molto utile per la dovizia di notizie documentarie.
Artemisia Gentileschi (1593-1653) non è stata soltanto una grande pittrice, pienamente meritevole di un posto nella Storia dell’Arte. La sua vita costituisce infatti un esempio di vero e proprio femminismo ante litteram, che però non deve essere interpretato in senso troppo moderno.
Oggi moltissime donne si dedicano alla pittura, ma alla sua epoca la cosa sembrava alquanto strana ed inquietante. Va anche precisato che in effetti non era il primo caso. Basterebbe citare Sofonisba Anguissola, che era stata apprezzata da Michelangelo ed era divenuta ritrattista della famiglia reale di Spagna.
Il caso di Artemisia è però più eclatante, anche perché fu protagonista di una vicenda drammatica che le diede grande notorietà. Ebbe infatti il coraggio di accusare di stupro il pittore Agostino Tassi, anche se il suo ruolo effettivo in tutta questa vicenda non è stato ancora chiarito. Non è dato sapere, in sostanza, se l’impulso principale sia partito dal padre, desideroso di difendere l’onore della famiglia, oppure da Artemisia stessa, offesa per le promesse non mantenute dal suo ‘stupratore’, che oltretutto era sposato….
Figlia d’arte (il padre era il noto ed importante pittore Orazio Gentileschi, formatosi nell’ambito del manierismo, ma poi fortemente influenzato da Caravaggio), Artemisia si dimostrò un talento precoce e poté avere (cosa rarissima per una donna) una formazione artistica presso la bottega romana del padre.
A quell’epoca (siamo nel periodo a cavallo tra ‘500 e ‘600) a Roma si trovavano artisti di prima grandezza, tra cui Michelangelo Merisi da Caravaggio. Il fatto di avere un padre pittore e di vivere a Roma in quel periodo straordinario compensò ampiamente lo svantaggio di essere donna in un mondo totalmente dominato dagli uomini. Lo stesso Caravaggio ebbe sicuramente una notevolissima influenza nella formazione della giovane pittrice.
Nonostante le difficoltà, Artemisia Gentileschi riscosse un grande successo, grazie ad uno stile personale che, partendo dalla fondamentale lezione paterna, sintetizzava le tendenze principali del suo tempo, nel quadro di una cultura artistica fondamentalmente barocca.
LA PITTURA NELL’EPOCA DI ARTEMISIA GENTILESCHI
Nell’ultimo ventennio del ‘500, a Roma, il manierismo impera e nello stesso tempo si afferma con Paul Bril il paesaggismo.
In generale, la Controriforma impone un concetto di arte intesa in senso pedagogico-devozionale. Tutte le arti hanno il compito di consolidare la Fede attraverso la rappresentazione degli Atti dei Martiri, antichi e moderni, e della Storia Sacra. Questa concezione pedagogica dell’arte trova la sua espressione tipica nella scuola manierista, a lungo bistrattata, ma dotata di una sua notevole modernità ed anche di un’indubitabile varietà, ora ampiamente riconosciute dalla critica. Un tipico esempio di manierismo unito alla devozione lo troviamo negli affreschi di S. Vitale:
In questa sorta di “humus” manierista, aderente al dettato controriformista e nello stesso tempo a suo modo originale e persino “rivoluzionario”, si forma il padre di Artemisia.
Ma proprio negli ultimi 10-15 anni del secolo XVI si affermano tendenze nuove destinate a trasformare profondamente il panorama artistico. I Carracci fondano a Bologna una nuova scuola basata sulla riscoperta del disegno dal vero che soppianta progressivamente la ‘maniera’. A Roma arriva un lombardo che si chiama Michelangelo Merisi. La sua impostazione ideologica deriva direttamente dal cattolicesimo lombardo, al quale San Carlo Borromeo aveva dato un’impronta indelebile. Caravaggio rappresenta senza veli la dura realtà di un mondo caratterizzato dalla povertà e dal peccato: dopo decenni di manierismo imperante è una vera rivoluzione.
In linea generale, si può quindi dire che tra Cinque e Seicento il mondo della pittura viene sconvolto da un vero e proprio terremoto: il ritorno al naturalismo, sia pure con alcune importanti e decisive differenze tra la scuola bolognese dei Carracci ed il modello di Caravaggio. È significativo che proprio a Roma lavorano per un certo periodo sia Annibale Carracci, sia Caravaggio. Una coincidenza certo non casuale e di enorme peso storico.
Il naturalismo della scuola bolognese è più classicamente orientato e darà origine, fra l’altro, alla pittura raffinata di Guido Reni e del Domenichino.
Invece Caravaggio inventa un naturalismo veramente inusitato, aspramente realista e tragico, basato sulla rappresentazione degli umili e sul contrasto violento fra la luce e l’ombra, riflesso della sua visione della vita.
Ma all’inizio del secolo XVII arriva a Roma anche Pieter Paul Rubens, uno dei ‘padri’ del barocco! Roma è quindi, nell’epoca della prima formazione di Artemisia Gentileschi, una fucina d’arte pazzesca.
APPROFONDIMENTO STORICO-ARTISTICO
La vicenda del processo per stupro ed il fatto di essere donna in un mondo artistico totalmente dominato dagli uomini hanno fatto di Artemisia Gentileschi (1593-1652 o 53) una vera icona del femminismo.
Ma quale fu la sua autentica ‘poetica’ e quale posizione ha avuto effettivamente nella storia dell’arte?
Per poter dare un giudizio obiettivo bisogna evitare di farsi condizionare dall’eccezionalità della sua biografia.
Dobbiamo innanzitutto dire che visse in un’epoca veramente straordinaria per quanto riguarda la pittura. Artemisia vide il culmine e il lento tramonto del manierismo e fu testimone, certo non passiva, non solo della rivoluzione naturalistica compiuta da Caravaggio e dalla scuola dei Carracci, ma anche dell’affermazione del linguaggio barocco con Rubens e Pietro da Cortona!
Secondo Giulio Carlo Argan (STORIA DELL’ARTE ITALIANA, VOL. 3, SANSONI), la sua nota stilistica fondamentale consiste nel contrasto, ‘tipicamente barocco’, fra la bellezza e la morte. Ma se il sangue e la morte sono chiaramente segnati dall’impronta inconfondibile caravaggesca, prevale in Artemisia il ‘compiacimento letterario’ e manca l’angoscia autentica del Merisi.
Devo riconoscere che la lettura di Argan mi ha permesso di risolvere, almeno in parte, i miei dubbi e di collocare la grande pittrice in modo più preciso: Artemisia si forma, come il padre Orazio, nell’ambiente romano dominato dal Manierismo, ma viene molto presto fortemente influenzata dal naturalismo e dalla violenza tragica di Caravaggio per poi confluire, a modo suo, nel grande e variegato fiume del barocco.
Ma come dicevo, qualche dubbio rimane….
ALTRE OPINIONI SU ARTEMISIA: BAROCCA O CARAVAGGESCA?
Abbiamo visto che secondo Argan la peculiarità di Artemisia Gentileschi consiste nel contrasto ‘tipicamente barocco’ fra la bellezza da un lato ed il sangue e la morte dall’altro. Argan riconosce l’influsso caravaggesco, ma in senso puramente stilistico-formale perché manca nella pittrice romana il dramma umano autentico e profondo.
Ovviamente ci sono state e ci saranno altre interpretazioni.
Rispetto al padre Orazio, che fu il suo primo maestro e dal quale riprese molti temi, Artemisia appare nettamente più ‘caravaggesca’ nel senso del realismo e del contrasto fra luce ed ombra.
In linea generale, viene quasi sempre messa in rilievo dalla critica l’impronta di Caravaggio, ma a mio parere, sulla scorta della lezione di Argan, non si deve esagerare in tal senso.
In verità, una parte dei critici tende ad enfatizzare il peso della vicenda dello ‘stupro’ e del processo e quindi a vedere nella pittura di Artemisia il riflesso del suo personale dramma umano. Di questo passo, però, si rischia di arrivare ad una specie di interpretazione ‘eroica’ e quasi preromantica della sua pittura: espressione artistica di una titanica lotta contro lo strapotere maschile!
A prescindere dal dramma esistenziale reale, su cui si è molto discusso e si discute ancora, secondo me la collocazione giusta della sua personale ‘poetica’ è all’interno della corrente storico-culturale barocca.
Il punto cruciale è valutare quanto sia stata forte l’influenza di Caravaggio sulla pittura ed in generale sull’arte barocca, ma questo è un altro discorso.
L’ARTE DI ARTEMISIA E LA VICENDA DELLO STUPRO
Artemisia Gentileschi (o Lomi, il cognome del padre Orazio, mentre Gentileschi è il cognome della madre del padre) non è molto facile da collocare in una ‘scuola’ precisa.
In linea generale, possiamo dire che alcuni la considerano ‘caravaggesca’, altri più nettamente ‘barocca’.
Il problema, secondo me, nasce dal fatto che la sua formazione avvenne in un’epoca caratterizzata da una grande varietà di correnti. Inoltre, bisognerebbe anche osservare che quella barocca è una scuola le cui radici sono piuttosto varie e complesse: Correggio, il Manierismo, Rubens, lo stesso Caravaggio…..
Accolgo pienamente il già citato giudizio di Argan: Artemisia rappresenta il contrasto ‘tipicamente barocco’ fra la bellezza e la morte; inoltre, manca nella pittrice romana l’autentica angoscia esistenziale del grande maestro lombardo.
Ribadisco anche che in generale i critici concordano su un punto: sia Orazio Gentileschi, sia la figlia furono fortemente influenzati da Caravaggio, ma in Artemisia il realismo è nettamente più aspro e più drammatico il contrasto chiaroscurale.
Il legame con il padre è comunque molto evidente, se non altro per la ripresa dei temi.
Un altro punto da mettere in rilievo è il peso reale della scabrosa vicenda dello ‘stupro’ nella sua opera. La vicenda non è stata del tutto chiarita, ma comunque Artemisia dimostrò un notevole coraggio continuando a sostenere l’accusa contro il suo stupratore, il pittore amico del padre Agostino Tassi, anche sotto tortura.
Non credo che sia corretto, comunque, interpretare tutta la sua opera come il riflesso di un bisogno di rivalsa e addirittura di vendetta, anche se in alcuni casi può sembrare evidente (si veda Giuditta che taglia la testa di Oloferne).
Sta di fatto che la protagonista assoluta delle sue tele è la donna: dalla lasciva Danae all’eroica Giuditta, dalla sensuale Cleopatra alla Maddalena penitente, le sue tele sono un completo ‘campionario’ delle varie e contraddittorie sfaccettature dello stereotipo femminile.
Atemisia fu indubbiamente una grande pittrice, capace di virtuosismi tecnici e d’introspezione psicologica. Per ottenere successo, seppe adattarsi, ma in modo non certo superficiale, alle richieste ed ai bisogni dei diversi ambienti in cui si trovò ad operare.
Giulio Carlo Argan, Storia dell’Arte Italiana, vol. 3, Sansoni, p. 290
Autoritratto come allegoria della Pittura (1638-1639); olio su tela, 98,6×75,2 cm, Royal Collection, Windsor (Da Wikipedia https://it.m.wikipedia.org/wiki/Artemisia_Gentileschi)
Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613); olio su tela, 158,8×125,5 cm, Museo nazionale di Capodimonte. (Da Wikipedia https://it.m.wikipedia.org/wiki/Giuditta_che_decapita_Oloferne_(Artemisia_Gentileschi_Napoli)#/media/File%3AGentileschi_Artemisia_Judith_Beheading_Holofernes_Naples.jpg)
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