“IL TEMPO DI CARAVAGGIO”-MUSEI CAPITOLINI

Testo di Fulvia D’Ambrosi, Storica dell’Arte

https://it.wikipedia.org/wiki/Ragazzo_morso_da_un_ramarro#/media/File:Michelangelo_Caravaggio_061.jpg

La mostra “Il Tempo di Caravaggio” a Roma presso i Musei Capitolini presenta al pubblico i capolavori della collezione di Roberto Longhi, in un percorso che si snoda dalle opere fonti d’ ispirazione per il grande Maestro lombardo e prosegue nella conoscenza della “cerchia” caravaggesca che tanto ha contribuito alla diffusione della pittura del Merisi.
Roberto Longhi (1890-1970), storico e collezionista d’arte, si impegnò fin dagli studi universitari a riscoprire l’opera di Caravaggio, che considerava il padre dell’arte moderna, l’antenato di artisti da Rubens a Courbet, passando per Velazquez e Goya. Eppure fino alla riscoperta di Roberto Longhi, il pittore era “uno dei meno conosciuti dell’arte italiana”. Le ragioni del silenzio pesato per più di due secoli affondano le radici in un secolo, il Seicento, gravato dall’oppressione politica e dalla Chiesa controriformata. Caravaggio rappresentò la decadenza morale e storica dell’Italia e restò impigliato nel giudizio negativo su quell’epoca. Infatti Napoleone, nella sua celebre collezione di arte italiana, non incluse Caravaggio e Goethe, dal canto suo, non menzionò l’artista nel “Viaggio in Italia “. Nella mostra è presente uno dei capolavori di Caravaggio, il “Ragazzo morso da un ramarro”, datato al 1597 circa, poco dopo la sua venuta a Roma. Qui, il giovane artista lavorò nella bottega del Cavalier d’Arpino per il quale eseguì raffigurazioni di fiori e frutta: opere di un genere ritenuto minore ma richiesto dal mercato, praticato soprattutto dai fiamminghi. A questo periodo appartengono le composizioni di mezze figure accanto a nature morte alludenti alla caducità della vita, allo sfiorire della giovinezza o al disinganno. In particolare, nel Ragazzo morso da un ramarro Caravaggio conduce l’attenzione dello spettatore dalla minuziosa descrizione dei particolari nella natura morta -come in molti dipinti fiamminghi-agli aspetti emotivi del personaggio rappresentato.
Molto interessanti sul piano storico-comparativo sono le opere che anticipano alcuni dei temi caravaggeschi, come ad esempio i luminismi di Lorenzo Lotto, l’attenzione verso la pittura veneta di Battista del Moro, la ritrattistica e l’ambivalenza nelle raffigurazioni di Bartolomeo Passerotti.
Caravaggio, come scrisse Longhi, “non ebbe maestri né allievi”. Tuttavia, anche in assenza di una scuola, la sua opera fu studiata da numerosi artisti italiani e stranieri, ciascuno però con un suo tratto personale. La collezione Longhi ci rimanda per il filone italiano ai tonalismi veneti di Carlo Saraceni in cui si palesa l’attenzione al paesaggio di Elsheimer come nel Mosè ritrovato dalle figlie del faraone, alla Santa Maria Maddalena penitente di Domenico Fetti di ispirazione rubensiana. Accanto a queste la drammaticità nel dipinto del Morazzone, l’Incoronazione di spine, datato 1610, opera che citando Mina Gregori 《s’inserisce in un clima manieristico e tuttavia propenso […] a marcare gli affetti”. A partire dagli anni ’30 del Seicento la situazione artistica romana diviene più complessa e articolata: le opere di carattere pubblico sono per lo più affidate agli artisti di area carraccesca.
Sarà anche grazie al lavoro di Bartolomeo Manfredi che il naturalismo caravaggesco verrà diffuso al di fuori dei confini italiani. Accusato di aver contraffatto le opere del Merisi, in realtà Manfredi trasformò quei dipinti in realistiche “scene di genere” come per i “Bari”, i “Concerti” e “le “Taverne”. Si diffondono così “motivi” caravaggeschi che incontrano il favore degli artisti d’oltralpe, incoraggiati anche dalla forte richiesta di committenze in grado di offrire supporto e assistenza ai nuovi arrivati. La serie degli Apostoli di Jusepe de Ribera e la Negazione di Pietro di Valentin de Boulogne testimoniano l’interesse dell’arte europea per le potenti innovazioni di Caravaggio. Seppure ispirato alla Vocazione di San Matteo del Caravaggio, Valentin de Boulogne nella sua Negazione di Pietro se ne distingue attraverso una sintesi personale. Il dipinto rappresenta la vicenda narrata nei Vangeli in cui l’apostolo Pietro viene additato al soldati dalla fantesca. L’ambiente è quello di una taverna dove si intrattengono le guardie del papa giocando ai dadi (riferimento ai soldati che giocano o a sorte le vesti di Cristo) e alcuni avventori. Sebbene i personaggi formino tre diversi gruppi, Valentin ne opera il collegamento attraverso un raffinato esempio di gestualità. Inoltre al piano di appoggio solitamente rappresentato nelle “scene di taverna” da un tavolo di legno, de Boulogne introduce un elemento dell’arte classica: il sarcofago, riferimento archeologico che affonda nelle radici culturali dell’artista e, nondimeno, auspicio alla convivenza tra i due generi pittorici.
Negli anni Trenta del Seicento la fortuna del caravaggismo a Roma va lentamente declinando per essere soppiantata dal Classicismo degli artisti emiliani. Artisti come Mathias Stom (Stomer) interpretano la poetica del Merisi aggiungendo drammaticità e teatralità alle loro composizioni. Ci troviamo di fronte al confine tra naturalismo e barocco. Con il dipinto Susanna e i vecchioni di Mattia Preti, che Longhi definisce il 《terzo fra i geni pittorici del Seicento》, dopo il Caravaggio e Battistello Caracciolo, gli stilemi caravaggeschi si arricchiscono con un nuovo vocabolario barocco. Conclude la mostra San Sebastiano curato dagli angeli, pala d’altare dipinta da Giacinto Brandi nel 1660 -1670 circa di cui ci resta sconosciuta la destinazione. L’opera raffigura con grande enfasi la scena del soccorso prestato dagli angeli in seguito al martirio di San Sebastiano. Longhi definisce la tela 《una delle opere più perfette del barocco italiano, “sgorgata, lutulenta e pure fluente come le più belle idee del Bernini》.

Bibliografia:
– Catalogo della mostra, Il Tempo di Caravaggio, a cura di Maria Cristina Bandiera, Ed. Marsilio
– Arte nel Tempo, De Vecchi Cerchiati. Vol.3
– Catalogo della mostra allestita nelle Scuderie del Quirinale, 2010, “Caravaggio” a cura di Claudio Strinati, Ed. Skira