Un cielo terso e un vento gelido, la mattina del primo giorno dell’anno 2010, stavano accompagnando due visitatori verso la casa BATLLO’, gioiello architettonico di Antonio Gaudì y Cornet, uomo straordinario vissuto nella Spagna meridionale tra il 1852 e il 1926. Paolo Turchese, giovanissimo agente immobiliare originario delle zone etrusche dell’alto Lazio italiano e Piero Pannetti, altrettanto etrusco ma non più giovane e trapiantato nella città definita (spesso a torto) caput mundi. Avevano davanti a loro un bel numero di umani predisposti a resistere alle intemperie pur di entrare in dialogo spirituale con questo Antonio Gaudì, dentro un edificio definito “la casa delle ossa” per via dei balconi a forma di teschio vuoto. Davanti a loro, il magnifico viale chiamato passeig de Gràcia, metà al sole e metà all’ombra, spaccava in due una giornata che si presentava stimolante per centinaia di turisti stranieri. Davanti ai due partecipavano al supplizio della fila tre donne, verso la mezza età, una, rossa di capelli, una, leggermente sale e pepe e
una con le meches bionde. Avevano tutto l’aspetto di tre intellettuali parigine, forse insegnanti, vestite alla sessantottina, ovvero scialle con frange, baschi neri fatti a uncinetto, jeans che strusciano sui marciapiedi, niente tacchi alti, orecchini in fili di metallo con disegni incas sudamericani. Parlavano fitto fitto, incomprensibili, assorte nella guida da leggere prima di entrare. Piero sbirciò tra le pagine: sembrava polacco. Quelle parole con molte v ed elle appiccicate gli ricordavano papa “voitila”, quindi non erano francesi di sicuro!
Nel trastullo dell’attesa ci furono sguardi di cortesia e Piero osservò incuriosito quel nasino leggermente adunco, magro, la pelle chiara e un po’ lentigginosa, l’atteggiamento vergognoso di chi si sente timido e vorrebbe guardare il mondo con più sfrontatezza……
L’interno della casa si dilungava per quattro piani con l’ascensore, le pareti impreziosite di vetri colorati, porte in legno lucido rotondeggianti, ceramiche in stile liberty o meglio dire stile Gaudì, inconfondibile trionfo del simbolismo esoterico come nella cattedrale della Sagrada Familia, non lontano da quel viale maestoso che si intravedeva dalle finestre. Barcellona, nel pomeriggio del primo giorno dell’anno 2010, splendeva in tutta la sua magnificenza…..
Al quarto piano Piero si fermò, stanco di scattare fotografie con indosso un doppio giaccone: le scale strette permettevano appena il via vai di chi scendeva e di chi saliva. Apparve la ragazza dal basco nero e dal naso leggermente adunco, ferma sul pianerottolo appoggiata alla parete per far passare la gente. Piero si avvicinò, mentre una forza interiore spinse la sua mano sul suo braccio, lo sguardo dritto, fulmineo, bruciò ogni risposta di lei. Ammutolì in un indefinito terreno dove non si sapeva se era un problema di lingua o di sbigottimento. Lui si avvicinò e le dette un bacio leggero sulla guancia, e di nuovo un bacio tra la bocca e la guancia e di nuovo ancora un bacio sulle labbra sottili e morbide…Uscì un sottilissimo lamento dalle viscere di lei e lui spalancò fragorosamente la porta che non fece alcuna resistenza. Un flusso di morbidezza inondò quella casa dentro la casa di Gaudì e lei si ritrovò ad entrare nella casa di lui che stava dentro la casa di Gaudì. Le teste cambiarono più e più volte angolazione sul collo, le
porte furono sbattute, le mani si trovarono e nessuna parola in nessuna lingua venne pronunciata, mentre decine di turisti scambiavano parole in tutte le lingue su e giù per le scale del grande Maestro Antonio Gaudì, nel primo pomeriggio dell’anno 2010 nella maestosa città di Barcellona.
Arrivò sulla scena Paolo Turchese, si fermò a guardare il film; erano passati due buoni minuti quando improvvisamente si ricordò dell’aereo. Mancava poco al check-in, bisognava anche tornare in hotelper le valigie…
Una mano di lei passò delicatamente sul volto di lui, la testa appoggiata alla parete.
-Io scrivo poesie…faccio acquerelli, watercolours! Scrivimi il tuo indirizzo…-, disse lui, mentre frugava nella giacca per cercare la penna e la carta. Allora dalla bocca di lei uscì una sola parola: -ah, maestro!-
Scrisse il suo address: PRAGA!! Wonderfull, pensò Piero, una città che lo aveva sempre affascinato, per la tradizione di una forte presenza ebraica, la gente più autoironica che esiste sul pianeta, e per essere considerata il vertice di un triangolo magico formato dalle altre due città di Torino e Lione.
Due ore dopo un aereo dell’Alitalia si levava in volo verso Roma, dopoché il pilota annunciò turbolenza previsto sull’aeroporto di Fiumicino.
Ma a Piero Pannetti, della turbolenza atmosferica non importava granché perché era occupato a pensare alla turbolenza che gli aveva causato la donna di Praga per le scale della casa di Antonio Gaudì y Cornet, vissuto a Barcellona a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo.
Pietro Pannucci
(Fotografie di Pietro Pannucci)